Tra i centri abitati dell’isola, Fontana è quello dove sono più evidenti le tracce della vocazione contadina di Ischia. Certo, il turismo con le sue "leggi" è arrivato anche qua, a 500 metri sul livello del mare, ma si è adattato - più di quanto non sia avvenuto lungo la costa - alle tradizioni e ai costumi di questa fiera comunità, le cui tracce risalgono al VI secolo a. C.
Con tutta probabilità il nome "Fontana" deriva dalla presenza di una fonte d'acqua sorgiva in località Cava Pallarito, dove oggi c’è una graziosa Casa Museo che da qualche anno a questa parte riscuote sempre maggior successo di pubblico.
La fonte non c’è più, come del resto non c’è più il temibile drago che, secondo una leggenda di tradizione orale, infestava i casali dell’isola. A seguire il mito, invece che da una fonte d'acqua sorgiva, il topos "Fontana" deriverebbe dallo smembramento del grifone, con un riferimento abbastanza esplicito ai genitali della bestia. Allo stesso modo, le ciglia si troverebbero in località Ciglio, la pancia a Panza, la testa a Testaccio e via dicendo.
Leggende a parte, la comunità di Fontana per secoli ha convissuto con la paura degli assalti saraceni. Anche per questo la parrocchia fu dedicata alla Madonna della Mercede, protettrice dei cristiani che venivano ridotti in schiavitù dai musulmani e dai pirati ottomani che infestavano le coste del Mediterraneo. Un falò di paglia dalla vetta del Monte Epomeo avvisava gli abitanti del casale di Fontana dell’imminente sbarco dei pirati, dando così modo alla popolazione locale di riparare nelle grotte e negli anfratti del bosco della Falanga e nella selva vicina dei Frassitelli.
E proprio l’habitat dell’Epomeo si è rivelato poi la principale risorsa turistica del territorio, consentendo, almeno in parte, la sopravvivenza di antichi mestieri che altrimenti sarebbero scomparsi molto più velocemente. Come i "ciucciai" che dopo aver trasportato per secoli l’uva e i barili di vino dai pendii tutt’attorno il villaggio, negli anni ‘50 cominciarono a trasportare, sempre a dorso di mulo, i turisti su e giù dal Monte Epomeo. Da qualche anno un gruppo di giovani della frazione ha ripreso l’antica attività dei loro nonni, mettendo su un’associazione, "Epomeo in sella", che fa proprio della riscoperta delle tradizioni e della valorizzazione ambientale la sua ragione sociale.
Salire a dorso di cavallo (non più di mulo), fin su l’eremo di San Nicola è un’esperienza da non perdere, ma anche visitare le altre due chiese di Sant’Antonio, in Piazza IV Novembre, e la già citata Parrocchia S. Maria della Mercede "La Sacra", sono occasioni importanti per chi è interessato ad approfondire il "genius loci" dell’isola più grande del Golfo di Napoli.
Sta bene pure "perdersi" negli alvei naturali (ora tutte Strade provinciali) che solcano il centro abitato. Come via Nicola Iacono, una cava poco distante dal belvedere della frazione che reca ancora numerose e ben visibili tracce dell’architettura rupestre dell’isola, con i suoi poderi, i portali in piperno, i muri a secco e, immancabili, i filari di vite con lo sfondo del mare e della costa meridionale di Ischia.
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