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Alphonse De Lamartine a Casamicciola

Brevi cenni sul soggiorno a Ischia del poeta, scrittore e politico francese Alphonse De Lamartine

È pacifico che le corrispondenze private di un uomo pubblico siano le fonti storiche migliori per interpretarne sentimenti e pensieri. Nel caso di Alphonse De Lamartine (1790 - 1869) poeta, scrittore, storico e politico francese, il rinvenimento e la pubblicazione delle diverse lettere inviate Oltralpe durante il soggiorno a Ischia nel 1820, sono soprattutto una straordinaria testimonianza delle bellezze dell’isola. Il 30 settembre 1820, dall’abitazione presa in fitto sulla collina della Sentinella, a Casamicciola Terme, De Lamartine scrive a Louis de Vignet, suo amico ai tempi del collegio:

«Nel mezzo del mare di Napoli, non lontano da Capo Miseno [...] si staglia un’isola di due o tre leghe di circonferenza coronata da una montagna a picco. [...] Sui fianchi ondulanti di questa montagna sono sparse le più incantevoli casette, circondate da vigne, orti e boschetti. Ne ho affittata una e ci abito da un mese. Là passo il mio tempo a sognare, nei campi o in riva al mare, con Marianna (Mary Anne Birch, sua moglie). Rientriamo la sera, ceniamo, dormiamo. Ci perdiamo nei boschi, cadiamo nei fossi. Scende la notte e ritorniamo stanchi morti, incantati dalle scoperte veramente meravigliose. Ho il più bel rifugio del paese. [...] Se un destino, come non se ne vedono, mi desse più denaro di quanto posso averne e mi concedesse più di dodici mesi all’anno, verrei qui regolarmente a passarne sette o otto».
(tratto da La Rassegna d’Ischia n. 3/2012, Alphonse De Lamartine a Casamicciola, di Domenico di Spigna)

In quell’anno, De Lamartine, dopo aver sposato la pittrice e musicista inglese Mary Anne Birch, si reca a Napoli per prendere servizio come secondo addetto all’Ambasciata di Francia presso il Re di Napoli e delle Due Sicilie. Il lavoro in ambasciata è alle dipendenze di tale Cavaliere Gabriel Fontaney che, a conoscenza dello stato interessante della moglie del poeta, concede all’uomo di essere presente in città per soli 3 giorni la settimana. Tale circostanza rende allora possibile la scelta di risiedere temporaneamente a Ischia, soprattutto in considerazione della salubrità dell’ambiente e delle sue acque termali. Il molto tempo libero a disposizione permette così alla giovane coppia di approfondire la grande varietà di luoghi e paesaggi dell’isola.

In un’altra missiva indirizzata alla
Marchesa Raigecourt, con data 16 settembre1820, De Lamartine chiarisce le motivazioni della sua scelta, che pure lo obbligano a lunghe ed estenuanti traversate settimanali per raggiungere la città:

«Ho una bella casa a Napoli con un’incantevole vista, ma la città mi rende insofferente, mentre sto a meraviglia quando mi trovo nelle campagne dell’isola».
(tratto da La Rassegna d’Ischia n. 3/2012, Alphonse De Lamartine a Casamicciola, di Domenico di Spigna)

Più tardi, l’8 dicembre, a lavoro concluso e di ritorno in madrepatria, De Lamartine scrive all’amico Aimon, parlando di Ischia ancora una volta in maniera entusiastica:

«Ischia è il capolavoro della Baia di Napoli, dell’Italia, del mondo; è il soggiorno completo che abbiamo sognato così spesso [...] Ischia merita il viaggio a lei solo, dunque vienci […] qui l’aria è elastica, fortificante e secca [...] l’acqua ghiacciata scende dalle cime dell’Epomeo e sessanta sorgenti naturali ci portano la vita e salute».
(tratto da La Rassegna d’Ischia n. 3/2012, Alphonse De Lamartine a Casamicciola, di Domenico di Spigna)


In quello stesso anno Lamartine dedica anche una poesia, appunto intitolata "Ischia", alla bella isola verde, cosa che del resto farà anche ventiquattro anni dopo, nel 1844, allorchè vi fece ritorno, fiaccato dall’altalenante carriera politica (era stato eletto deputato nel 1833 in Francia), dalla morte prematura dei suoi due figli, Alphonse e Giulia, e da una situazione economica non esattamente delle più floride.

Più precisamente, durante il soggiorno del 1844, dal 18 agosto al 19 settembre
, le poesie sono addirittura due ("Saluto dell’isola d’Ischia"; "Il giglio di Santa Restituta"), oltre ad essere questo il periodo in cui lo scrittore lavora con maggior profitto alla stesura del suo romanzo più famoso, quel "Graziella", giovane donna figlia di un pescatore di Procida, che in realtà è l’idealizzazione di una giovane donna conosciuta a Napoli, durante una prima visita alla città partenopea nel lontanissimo 1811.

Antonietta (o Antoniella) Jacomino, questo il vero nome della giovane donna, è un’operaia della Manifattura Tabacchi di via Porta di Massa a Napoli, di proprietà di un cugino dello scrittore, Antonio Dareste de la Chevanne. De Lamartine, all’epoca poco più che ventenne, si innamorò perdutamente della ragazza, fino a trasfigurarla, trent’anni dopo, nell’ideale di donna senza tempo, eterna. Il celebre romanzo viene scritto per lo più a Ischia, nel bel giardino della Pagoda sulla riva sinistra del Porto, la cui atmosfera evidentemente rinverdisce il ricordo di quell’amore giovanile, tra l’altro, pare, solo platonico.

Solido invece il rapporto d’amore tra i coniugi Lamartine (Marianne Lamartine morì qualche anno prima del consorte) e quello di entrambi nei confronti dell’isola d’Ischia. Durante il soggiorno a Casamicciola nel 1844, in un’abitazione contigua a quella dove i due avevano soggiornato 24 anni prima, Marianne Lamartine scrive una bella lettera all’amica De la Grange, - lettera che ha il merito di vivificare immagini poetiche e potenti della vita ischitana, tra l’altro ancora attualissime:  

«Qui la natura ha fatto tutto, ma la mano dell’uomo ben poca cosa e mi ritrovo quasi in Oriente in rapporto alla costruzione e all’arredamento della nostra villa. Ma un balcone sul mare, una vista della montagna e un giardino d’aranci non è forse sufficiente per far dimenticare tappeti e poltrone? […] mi alzo una ventina di volte per fare un piccolo giro sulla terrazza e ammirare ora la pesca con le lampare, ora l’alba che arriva con i suoi inattesi effetti».
(tratto da La Rassegna d’Ischia n. 4/2012, Alphonse De Lamartine a Napoli, Procida, Casamicciola, di Domenico di Spigna).

Di seguito la poesia "Ischia" che il poeta francese scrisse nel 1820:

 

Il Sole porta il giorno ad altri mondi
Silenziosa sale la luna nel deserto orizzonte
E getta, penetrando le tenebre profonde,
Un velo trasparente sulla fronte della notte

Guarda dall’alto dei monti il chiarore ondeggiando
Inondare le coste come un fiume di fiamma
Dormire nelle valli o scivolar sui declivi
Zampillare laggiù dal seno fulgido del mare

L’incerto barlume nell’ombra diffusa
Tinge d’azzurrino la pallida oscurità
Fa nuotare lontano nell’onda distesa
Gli orizzonti bagnati dalla sua tenera luce

L’Oceano innamorato di questi lidi tranquilli
Calma baciandone i lembi gli ardori violenti
E stringendo in un abbraccio i golfi e le isole
D’un umido respiro ne rinfresca le rive

Dell’onda ch’ora avanza ed ora s’allontana
L’occhio in lontananza segue il morbido contorno
Si direbbe un amante che nel delirio stringa
La vergine che resiste e cede a poco a poco

Dolce come il sospiro del bimbo che dorme
Si diffonde nell’aria un vago suono che geme
È forse un’eco del cielo ch’ammalia l’orecchio?
O un sospiro d’amore della terra e dei mari?

Si alza, ricade, rinasce, poi spira
Come un cuore che opprime un peso d’ebbrezza
Sembra in queste notti che la natura respiri
E come noi si lamenti della sua felicità

Schiudi, o mortale, l’anima a quei torrenti di vita
Accogli da tutti i pori il fascino della notte
Quell’ombra t’invita a inebriarti d’amore
Nel firmamento il suo astro s’innalza e ti guida

Non vedi tremar quel fuoco sul colle lontano?
È un faro che ha acceso la mano dell’Amore
Come un giglio inclinato lì un’amante s’inchina
E con avido orecchio spia i passi dell’amato

La vergine nel sogno ove l’anima si sperde
Solleva un occhio azzurro che i cieli riflette
Errando sulla chitarra a caso le sue dita
Suoni misteriosi gettano ai venti della sera

Vieni, in ogni luogo si diffonde l’amoroso silenzio
Vieni a respirare il fresco della sera accanto a me
È l’ora: la vela che nel lontano sembra si dilegui
Biancheggia e riporta il tranquillo pescatore

Da quando la tua barca fuggì via dalla riva
Tutto il giorno ho seguito la tua vela sul mare
Come segue dal suo nido la trepida colomba
L’ala del colombo candido nell’aria

E mentre scivolava sotto l’ombra della costa
Ho riconosciuto la tua voce nelle voci degli echi
E la brezza della sera smorendo sulla spiaggia
Mi riportava i tuoi canti scorrenti sui flutti

Quando l’onda rumoreggiava sulla costa spumeggiante
Alla stella del mare ho sussurrato il tuo nome
Ho acceso la lampada e l’amorosa preghiera
Della tua amante sola ha messo in fuga l’aquilone

Adesso sotto il cielo ci si riposa o si ama
L’onda che si dondola viene a dormire sulla riva
Il fiore dorme sullo stelo e sotto la volta della notte
Perfino la natura si raccoglie e si addormenta

Guarda! il muschio ha per noi tappezzato la valle
I tralci s’incurvano in tortuose pieghe
E il soffio dell’onda percorrendo gli aranci
Con i fiori che ne sfoglia profuma i miei capelli

Nel morbido chiarore della volta serena
Seduti sotto il gelsomino canteremo insieme
Fino a quando la luna, scivolando verso Miseno,
Non scompaia impallidendo nei fuochi del mattino

Lei canta; e la sua voce ad intervalli smuore
E degli accordi del liuto più flebili nel suono
Gli echi assopiti non affidano agli zefiri
Che sospiri morenti spezzati da silenzi

Colui che il cuore colmo di delirio e di fiamma
In quest’ora d’amore sotto l’astro incantato
All’improvviso sentisse il suo sogno più caro
Prender vita nel viso d’una casta bellezza

Colui che sul muschio ai piedi del sicomoro
Al murmure delle acque sotto un cielo di zaffiri
Seduto ai suoi piedi dall’una all’altra aurora
Avesse per parlarle solo l’accento dei sospiri

Colui che respirando il suo respiro adorato
Sentisse i suoi capelli sollevati dal vento
Sfiorargli la pupilla in una lieve carezza
O scivolargli sulla fronte i riccioli ondeggianti

Colui che trattenendo le ore fuggitive
Fissando in questi bei siti l’anima sua con l’amore
Dimenticasse che il tempo scorre pur su queste rive
Sarebbe un uomo mortale oppur sarebbe un dio?

E noi sulle dolci pendici di questi verdi Elisi
Su queste sponde ove amore avrebbe nascosto il suo Eden
Nel murmure dolente delle onde placate
Nei raggi addormentati dell’astro elisio

Sotto questo cielo ove vita e gioia abbondano
Su queste rive che l’occhio si compiace a percorrere
Noi abbiamo respirato l’aria d’un altro mondo
Elisa!… e tuttavia dicono che dobbiamo morire!

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